Provare a fare esperienza del mondo in una prospettiva diversa. “Mettiti nei miei panni”, l’iniziativa del Servizio integrazione studenti con disabilità e studenti con Dsa dell’Università Cattolica del Sacro Cuore giunta alla quinta edizione, continua la propria sfida per sensibilizzare l’intera comunità accademica alle tematiche della disabilità.

Una passata edizione di "Mettiti nei miei panni". Al centro il professor Luigi D'AlonzoMartedì 10 maggio 2016, nella sede di Milano (largo Gemelli 1), dalle 9 alle 16, con partenza dal Cortile d’Onore, sono state proposte attività di role taking non-stop: simulazione di limitazione visiva e motoria all’interno dei chiostri universitari, con la collaborazione di volontari e studenti con disabilità.

Importante novità di questa edizione: partecipare a un’attività laboratoriale per sperimentare le problematiche relative ai deficit uditivi.

L’iniziativa è stata finanziata, per il 2016, utilizzando il fondo per studenti disabili dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, costituito con la quota che ogni iscritto dell’Ateneo può versare come forma di solidarietà per sostenere le attività in questo settore.

«In questi anni il lavoro del Servizio integrazione – fa notare il delegato rettorale Luigi D’Alonzo (al centro della foto in alto), professore di Pedagogia speciale alla facoltà di Scienza della formazione - si è declinato cercando di promuovere sempre più, nei vari ambienti universitari, quella cultura dell'inclusione che si erige sulle fondamenta del binomio intenzionalità e competenza. I numeri sempre più in aumento dei ragazzi con disabilità o con disturbo specifico dell'apprendimento (Dsa) che accedono al nostro servizio testimoniano la bontà del nostro intervento educativo e didattico. “Mettiti nei miei panni" ha lo scopo di favorire questa cultura dell'inclusione sempre più necessaria in un mondo complesso e difficile come il nostro».

Secondo il professor D’Alonzo il mondo delle persone con bisogni speciali impone competenza. «L’incontro con un uomo segnato da ferite profonde nel corpo o nell’anima richiede una risposta di valore che oltrepassi l’intenzionalità educativa doverosa per tutti. Purtroppo con le fasce deboli l’amore non basta, la voglia di fare del bene non è sufficiente, il semplice desiderio di aiutare è troppo poco. Occorre molto di più, occorre possedere le competenze idonee, quelle valide, capaci di aiutare veramente».

«Per molto tempo si è pensato che fossero sufficienti l’impegno personale dell’operatore, la sua buona volontà nell’aiutare il soggetto con bisogni speciali, la sua delicatezza d’animo per sopportare un evento educativo che a molti, ancora oggi, pare insopportabile» aggiunge il delegato del Rettore al Servizio. «Ma le esperienze che in questi anni si sono effettuate e le riflessioni che da esse sono scaturite, ci dicono come emerga preponderante l’esigenza che gli operatori possano mostrare non solo carità, ma anche competenza professionale, essenziale per soddisfare i bisogni particolari di queste persone».

È necessario affermare instancabilmente che l’amore deve essere coniugato con la competenza» conclude il professor D’Alonzo. «Intenzionalità educativa e competenza sono, infatti, un binomio inscindibile nel lavoro con i soggetti problematici. Non ci può essere l’una senza l’altra, entrambe sono indispensabili nel pensato e nell’agito educativo».